Le donne hanno pagato il prezzo più alto in questa pandemia, nel lavoro come nelle mura domestiche.
Solo per dare qualche cifra il 70% dei 444mila posti di lavoro scomparsi nel 2020, e il 99% dei 101.000 posti di lavoro scomparsi nel solo mese di dicembre 2020, erano occupati da donne; il 50% delle donne ha visto peggiorare la propria situazione economica, l’80% testimonia di aver subito un impatto devastante sulle proprie relazioni sociali e familiari. A questa tragedia si aggiungono i danni psicologici annessi, la recrudescenza delle violenze domestiche subite, e un aumento delle disuguaglianze che andrebbe fronteggiato contestualmente con un piano di protezione sociale ed un piano di investimenti futuri.
Né le priorità stabilite dal Next Generation EU a livello europeo, né la proposta del governo precedente per il Next Generation Italia, né tantomeno, le priorità indicate dal tanto decantato governo attuale – che, lo ricordiamo è presieduto da un uomo anziano ed è composto per il 70% da uomini – sembrano preoccuparsi sufficientemente del futuro delle donne. Digitalizzazione, sviluppo della banda larga e del cloud computing, tecniche predittive basate sull’Intelligenza Artificiale per la manutenzione delle grandi opere, sostegno allo sviluppo della telemedicina, investimenti nelle piattaforme della Pubblica Amministrazione, rete ferroviaria veloce, autostrade: le priorità di investimento di questo governo, sembrano ignorare i profondi divari di genere che caratterizzano il nostro paese poiché riguardano settori in cui tradizionalmente sono occupati più uomini che donne.
Se questo già di per sé costituisce una potenziale fonte di disparità, ancora più allarmante è l’insieme di politiche che non appaiono all’orizzonte di questo governo.
Chiediamo quindi, e con forza, che si discutano questi tre punti:
1- Non c’è niente di “farisaico” come ha insinuato Mario Draghi nel suo discorso alle Camere, a chiedere che sia garantita la parità nella rappresentanza politica. Come ci insegnava Jane Jacobs: “Le città potranno dare qualcosa a tutti se e solo se saranno create da tutti”. Solo una parità nella rappresentanza permetterà a tutte e a tutti di appropriarsi della capacità collettiva di decidere del proprio futuro, ribaltare la vetusta visione degli interventi settoriali tradizionali e formulare finalmente piani di cambiamento strutturale della società che tengano conto delle diversità di condizioni, delle diversità di esigenze, delle diversità di approcci. Una proposta in tal senso sarebbe quella di sperimentare più diffusamente il “doppio apicale”, ovvero lo sdoppiamento dei ruoli di responsabilità condiviso da un uomo e da una donna, i quali si confrontano e raggiungono una sintesi che non è altrimenti producibile. Perché, ad esempio, non immaginare un tandem in tal senso al vertice della cabina di regia che coordinerà e monitorerà l’allocazione degli investimenti del PNRR, il più ingente intervento di spesa pubblica degli ultimi decenni?
2- Se davvero si vuole garantire una parità di genere non ci si può limitare, come si pensava un tempo e come ci ha ripetuto recentemente il presidente del Consiglio, a garantire alle donne parità competitive nell’accesso a competenze “che permetteranno di fare carriera”: digitali, tecnologiche e ambientali. Se davvero si vuole garantire una parità di genere si devono anzitutto rimuovere gli ostacoli, come prevede l’articolo 3 della Costituzione, ma si devono anche reintegrare tra le competenze delle donne – come degli uomini – la capacità di mettere la vita e le persone al centro del proprio orizzonte e di prendersene cura. Questa pandemia ce l’ha insegnato: i mestieri di cura tanto disprezzati da essere tradizionalmente affidati a donne e persone ai margini del mercato del lavoro, da essere sottopagati o addirittura non retribuiti sono imprescindibili, vanno garantiti, sostenuti e soprattutto vanno rivalorizzati. Solo la valorizzazione dei mestieri della cura garantirà la felicità, la giustizia sociale e ambientale di una società che non dovrà contare soltanto sulla crescita per prosperare. Vogliamo con forza che si torni a parlare seriamente di welfare in questo paese, che i servizi siano garantiti, che i lavori di cura siano una responsabilità della società tutta e non solo un onere, non sempre scelto, a cura delle donne e dei più deboli. Questo renderà meno chimerico aumentare il tasso di occupazione delle donne dal 48,6% attuale al 67% previsto dagli obiettivi Europa 2020. E questo creerà le condizioni per preservare i diritti che le donne hanno acquisito negli ultimi decenni e che rischiano orribilmente di perdere.
3- Tra i diritti delle donne che vogliamo vedere tutelati senza perdere altro tempo c’è quello inviolabile e indiscutibile di non subire violenza. Se la pandemia di Covid-19 ha stravolto le vite più o meno di tutti, sono ancora una volta le donne, anche in quest’ambito, ad avere pagato il prezzo più alto: lockdown e restrizioni hanno provocato un’impennata dei casi di violenza. La violenza ha ripercussioni sul corpo delle donne e sulla loro psiche. Ma la violenza ha conseguenze anche sulle capacità di lavoro e di inserimento sociale delle donne, specie in una società che sacralizza performance e competizione. Una donna che per via di una violenza subita si è allontanata dal mercato del lavoro fa fatica a rientrarvi. Allora una politica che voglia garantire parità di genere non può non affrontare innanzitutto la prevenzione della violenza attraverso forme certe di reddito per tutte e tutti, e lo sviluppo di una rete di servizi pubblici capaci di fornire alle donne occasioni di incontro, scambio e cultura, attraverso un ripensamento globale dell’educazione che porti allo sradicamento progressivo della cultura patriarcale. In Italia almeno una donna su tre ha subito una qualche forma di violenza. Una politica che voglia garantire la parità di genere non può non tenere conto di questo tragico dato, e non può non fare i conti con i danni provocati da questo fenomeno.
DiEM25 lotta perché si rimettano le persone e la vita al centro dello spazio pubblico, perché sia garantita la parità di rappresentanza, perché si indirizzino gli investimenti pubblici verso un’economia sostenibile e della cura, perché si creino le condizioni per lottare concretamente contro ogni forma di violenza.
Ma questo non basta!
Se davvero vogliamo liberarci dalla morsa del patriarcato, abbiamo bisogno di un movimento femminista autonomo che costruisca sue proprie pratiche politiche, sfidi le forme arcaiche di potere che si insinuano ovunque e non si illuda che soltanto ingentilendo o anche smantellando l’assetto capitalista potranno cambiare gli attuali rapporti di potere che tanto danno arrecano alle donne.
Per questo rivolgiamo il nostro invito non solo alle istituzioni perché ripensino sul serio a cosa significhi proporre politiche che promuovano la parità di genere, ma anche a tutte le donne e gli uomini che lottano, nonostante gli intralci che questa pandemia ci ha imposto, per un mondo post-pandemico, post-capitalista e post-patriarcale, perché costruiscano insieme con noi una strada verso un futuro davvero nuovo e giusto.
Questo articolo è stato scritto congiuntamente da
Patrizia Pozzo (CC), Paola Pietrandrea (EW Italia), Veralisa Massari (EW Italia), Alessandra Fata (EW-PNC Italia), Arianna Bianchi (PNC Italia), Melita Canali (PNC Italia), Antonella Trocino (PNC Italia).
Immagine: Wikimedia Commons.
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