La posizione di MERA25 sul conflitto russo ucraino

18 mesi di conflitto russo ucraino.
18 mesi di isterie, di menzogne, di accuse e propaganda.
Mai lo stato del nostro discorso pubblico aveva raggiunto un tale scollamento dalla realtà delle cose e dal pensiero dei propri cittadini.
Mai il nostro paese – ma segue a stretta ruota il resto d’Europa – aveva incarnato così a fondo il concetto di realtà orwelliana.
Secondo chi gestisce in maniera semi totalitaria i media italiani, il paese sarebbe spaccato in due: da un lato i sinceri democratici che credono nei valori illuministi e li difendono se necessario anche con le armi, fedeli alleati dell’Ucraina nella difesa dall’invasione russa; dall’altro, l’armata dei lobotomizzati dalla propaganda putiniana, feroci prezzolati di Mosca che pur di vedere l’Occidente cadere tifano per la morte e la distruzione degli sfortunati cittadini ucraini.

Il grosso difetto della realtà è che non riesce a non essere complessa e chi rifiuta la complessità con tale foga non può che ricadere nell’ideologia e nel manicheismo più nocivo.

La Russia di Putin

Il grosso della narrazione dominante risiede nel mito distorto della Russia di Putin e di chi sarebbero i suoi “sostenitori”: chiunque a sinistra abbia avuto un atteggiamento un minimo meno che entusiastico nel supporto ai cittadini ucraini sarebbe per questo un putiniano.

Parte di questo riflesso pavloviano risiede nel fatto che l’età media dei nostri commentatori (o l’età non anagrafica ma ideologica di quelli più giovani) non riesce ancora a staccarsi dal binomio Russia = Comunismo.

Spesso leggiamo e sentiamo i lapsus con cui ancora si riferiscono a qualsiasi cosa provenga da Mosca con l’aggettivo “sovietico”, o dileggiano l’avversario con l’uso delle “K” figlio degli anni 70.

In realtà di sovietico in Russia non c’è più nulla o quasi da 30 anni almeno.

La Russia di Putin e uno stato oligarchico, dittatoriale, corrotto, dedito a quel corporativismo tipico degli stati convertiti al credo capitalista in fretta e furia. Facile preda di falchi senza scrupoli che senza un quarto potere degno di nota, o una cultura democratica radicata, hanno fatto scempio di quel poco di stato sociale a disposizione. 

Hanno così creato povertà diffusa, diseguaglianze senza pari e una popolazione senza nessun sostegno da parte dello Stato, nessun welfare, solo criminalità e violenta solitudine.

Putin poi, per tenere insieme tutto questo (oltre oltre all’impiego di uno stato di polizia permanente e metodi crudeli e assassini), ha ispirato il paese con un’ideologia bigotta e conservatrice.

La sua idea di Patria Russa e un’idea misogina, ultra religiosa, omofoba, razzista e intrisa di supremazia etnica. Economicamente, come già detto, il welfare è inesistente e il disfacimento dell’URSS ha lasciato spazio a oligarchi e cartelli privati che con lo stato fanno affari ma anche lo completano, quando non lo sostituiscono, per una distopia dittatoriale in cui il potere risiede in gruppo di crudeli imprenditori che con Putin fanno gruppo finché fa comodo, e viceversa.

Come tutto questo possa essere stato venduto come “ideale della sinistra” e’ un miracolo degno di “1984”.

Lo stesso Putin, in tutti i suoi discorsi ai russi, ha sempre attaccato la società “occidentale” dipingendola come una civiltà decadente che ha perso la via della purezza, schiava dei diritti degli immigrati e delle minoranze, debole perché ha abbandonato l’idea di uomo forte e di maschio alpha.

Del periodo sovietico celebra solo quei valori condivisi e storici come la “vittoria sui nazisti” o la “resistenza di Stalingrado”, e solo appunto perché innestati nei ricordi di tutti i russi, ma non ha mai lesinato critiche durissime a tutti i leaders che lo avevano preceduto, rinnegando la stessa idea di Unione di Repubbliche Socialiste. Si rifà invece con molta più facilità all’impero zarista che precedette la stessa URSS, come esempio di forza e purezza a cui aspirare.               

Discorsi in completa continuità con quelli dell’ultra destra in Italia, in Europa e nel resto del Mondo, e non a caso per decenni Putin è stato l’idolo indiscusso di politici come Meloni, Salvini e Berlusconi, ma anche di Le Pen, Trump, Bolsonaro etc etc…

Certo, come nell’establishment e nella destra del Paese, anche a sinistra esistono ancora alcuni reduci che rispondono al riflesso storico di Russia = sinistra, ma sono davvero pochi. Molti altri invece sono parte di quel ragionamento chiamato “campismo”: il mondo e’ diviso in due campi, o stai con uno o con l’altro.

E siccome non credono nella buona fede della NATO, allora si schierano col male minore.

Eppure sappiamo bene i rischi di questo approccio, storicamente messo in opera da entrambe le fazioni: il male minore ci ha regalato i talebani per combattere Stalin i l’ISIS per detronizzare Saddam Hussein. La geopolitica può sembrare molto attraente nel suo cinismo, ma e’ lo strumento peggiore possibile per immaginare e progettare un futuro.

 

L’Ucraina di Zelensky

Dall’altra parte delle cannonate abbiamo poi l’Ucraina. Il principale degli stati nati dalla dissoluzione post ‘89, come tutti gli stati ex sovietici sta (stava) affrontando un delicato periodo di “nation building”, cioè di risoluzione di tutte quelle spaccature interne tra etnie diverse, parti della popolazione ancora legate al vecchio regime, riequilibri interni ma anche internazionali, ricostruzione della propria storia e della propria identità. Questa, per forza di cose, è stata ricreata in opposizione al recente passato, esattamente come la nostra costituzione nasce dal principio antifascista.

Tutti questi Paesi avrebbero avuto bisogno di un periodo molto lungo di sostanziosa pace e non interferenza da parte di influenze straniere per poter costruire una pace interna e una società coesa e solidale. L’Ucraina non ha avuto questo lusso.

Da sempre al centro di mire da entrambi i blocchi (occidentale e russo), da sempre al centro di ingerenze, il suo processo di pacificazione si è trasformato in una continua escalation di violenze e conflitti. L’Euromaidan del 2014 e il perdurante conflitto nel Donbass ne sono gli esempi principali.

Curiosamente però abbiamo potuto osservare come i nostri media abbiano subìto una giravolta a 180 gradi sul modo di descrivere l’evoluzione della società ucraina della società ucraina: fino all’invasione russa, su tutti i principali quotidiani era possibile trovare reportages che denunciavano preoccupanti derive verso l’estrema destra filo nazista di alcuni settori strategici della societa ucraina, da quel momento in poi e diventato un tabù.

Non è impensabile constatare come un Paese post sovietico, con quella storia e quei riferimenti storici, con un processo di identità nazionale fortemente condizionato da una mancata pacificazione interna e con una necessità di una retorica fortemente nazionalista, abbia una finestra di Overton fortemente spostata a destra.

Le vicende conseguenti alla rivoluzione di Maidan, tra cui la strage di Odessa, la persecuzione di politici appartenenti o riconducibili al vecchio regime, la messa al bando di alcuni partiti, la messa alla gogna pubblica da parte di semplici milizie cittadine di privati cittadini ritenuti sospetti, gli slogan nostalgici e l’integrazione nell’esercito ufficiale di reparti di milizie neonaziste, fino agli auguri di morte per i traditori che sono scappati dal Paese all’inizio del conflitto, segnalano senza dubbio una democrazia in forte sofferenza.

Quindi l’invasione è giustificata? No.
Quindi l’Ucraina è un Paese nazista?
Al di là dei dubbi che possono sorgere sulla definizione stessa di Paese (nella sua interezza) nazista, l’unica risposta che dovrebbe concernere la sinistra è: non importa!
L’idea che per essere salvi sia necessario essere santi non ci è mai appartenuta. Quando il popolo dei pacifisti si è schierato convintamente contro l’invasione in Afghanistan l’ha fatto senza diventare tutti talebani, né prendendone le parti.

Stesso dicasi con l’invasione in Iraq, così come in tutti gli altri scellerati interventi armati dell’Occidente.

L’illiceità dell’atto è totalmente slegato dal giudizio morale verso l’aggredito. L’idea che possa esistere una ragionevole causa per risolvere una controversia locale con l’intervento armato e l’annessione di territori invece di un prolungato e sincero sforzo di mediazione e diplomazia è ed sempre stato fuori dal novero delle opzioni da noi ritenute accettabili.

 

La guerra e l’accountability

Il che ci porta al conflitto armato. La domanda “quindi cosa dovremmo fare per porre fine al conflitto e a quali condizioni?” è da sempre mal posta. Lo è perché osserva il problema come se fosse cominciato nel febbraio 2022 e nulla fosse successo prima. Lo è perché poggia su basi di inevitabilità, come se stessimo parlando di un terremoto, che non corrispondono alla realtà.

Chiunque dileggi la diplomazia come inutile e debole lo fa ignorando tutte le guerre che si sono evitate grazie ad essa. E questo è da sempre il più importante compito dei nostri rappresentanti in frangenti di tensione internazionale: le guerre si evitano e si prevengono perché è molto più difficile risolverle una volta che sono scoppiate. 

Una volta che questo accade le opzioni sono molto più limitate, e i risultati finali molto raramente sono considerabili “giusti” sotto un profilo morale, men che meno se questo giudizio proviene da una delle parti coinvolte.

Il fatto principale che più dovrebbe spaventare è che a dettare ciò che è “moralmente giusto” fare per aiutare il popolo ucraino e ciò che al contrario è “moralmente riprovevole” in quanto egoista o in complicità col nemico, siano esattamente le stesse persone che portano (ma cercano in ogni modo di negarlo) la pesante responsabilità di tutto ciò che è preceduto.

Non a caso infatti una delle narrazioni più utilizzate è quella della incredibile imprevedibilità e repentinità delle decisioni e azioni di Putin, di modo da “lavare” il più possibile l’occidente da sue eventuali responsabilità, e a chi prova a sostenere anche solo il dubbio che tali responsabilità esistano viene sventolato il sacro vessillo che tutto copre: “esistono solo un invasore e un invaso!”, oppure viene accusato di “giustificare l’invasione”.

Tolto che perfino dopo un evento realmente imprevedibile – come appunto un terremoto – è un comportamento completamente razionale quello di sedersi intorno ad un tavolo e stabilire cosa si poteva fare per minimizzare i danni. Amministratori responsabili in ogni parte del mondo si comportano in questo modo e sono così stati in grado di costruire città ad alto grado antisismico senza che nessuno di questi venisse accusato di “stare dalla parte del terremoto”.

Ma – cosa ben più importante – queste responsabilità esistono e sono chiarissime.

Putin è sempre stato Putin, il suo biglietto da visita per l’occidente (dopo che i servizi segreti di mezzo mondo accolsero con piacere la sua salita al potere in quanto portatore di un nuovo corso in grado di prendere le distanze in modo netto dal vecchio regime comunista) fu il genocidio in Cecenia a partire dal 1994, e la risposta dell’occidente fu il suo ingresso in pompa magna all’interno del G8.

Non c’è un solo dei principali cinque partiti in Italia che non abbia avuto qualche legame o scheletro nell’armadio nei confronti di Mosca: Le simpatie di Forza Italia e Lega Nord sono più che note, Fratelli d’Italia benché oggi giochi il ruolo del faro atlantista è sempre stato portatore di posizioni “di strenua difesa degli interessi italiani” casualmente coincidenti con quelli russi. Il suo assessore in Piemonte Maurizio Marrone ha aperto sei anni fa a Torino una finta ambasciata della Repubblica Popolare di Donetsk in Italia, in chiaro supporto ai separatisti filorussi.

Sulla stessa linea è stato a lungo il M5S di Battista e DiMaio, benchè fino al 2014 Beppe Grillo accusava Putin di essere il mandante dell’assassinio di Anna Politkovskaja paragonandolo a Mussolini e Stalin.

Difficile poi sostenere che il Partito Democratico abbia difeso i valori europei ed occidentali in maniera rigorosa ed indefessa quando, certamente insieme a molti altri attori europei, l’Italia ha incessantemente venduto dal 2003 al 2021 (periodo in cui il PD ha governato per 12 anni) armi e forniture militari alla Russia, senza mai porsi il dubbio di quanto potesse essere controproducente questo sul medio lungo periodo.

Investitori di ogni calibro, istituzionali e non, hanno sfruttato le opportunità di delocalizzazione in Russia per decenni col beneplacito del regime di Mosca. Investimenti alla ricerca di opportunità di risparmio e sfruttamento, non certo tese a far crescere economicamente un paese in difficoltà.

Infine c’è la questione degli sciagurati gasdotti NordStream 1 e 2, costruiti dai principali Paesi europei per potersi accaparrare gas fossile a basso costo invece di investire pesantemente nelle rinnovabili quando sarebbe stato bene sia per il clima, sia per la nostra strategia geopolitica e invece han finito per portare incredibili quantità di denaro nelle casse di Mosca per poter foraggiare il suo regime corrotto e le sue imprese militari.

Putin è sempre stato Putin: Cecenia, Georgia, Siria, Crimea, Kazakhstan.

La cosa non ha mai minimamente disturbato l’establishment occidentale, che comunque di tragedie in giro per il mondo si è reso responsabile a sua volta in più occasioni.

Eppure oggi lo stesso establishment vuole raccontarci come tutto questo fosse imprevedibile, di come dobbiamo reagire per la salvezza dei nostri valori.
Non solo, vuole buttare la croce della responsabilità sul movimento pacifista che, con tutto il bene del mondo, non ha mai influito su nessuna decisione internazionale, né ha mai spostato di mezzo millimetro la geopolitica di nessun paese nonostante ogni sforzo. Ha anzi provato a far sentire la sua voce in molteplici occasioni, non ultima nel luglio 2001 a Genova, quando a marciare per le strade c’era un popolo antimilitarista che a gran voce protestava anche contro Putin e le sue mani ancora grondanti di sangue ceceno.

Certo, non era una protesta SOLO contro Putin, era una protesta contro “il sistema”, ma di quel sistema Putin ne era orgogliosamente parte e a quel sistema i suoi genocidi e mire imperialistiche andavano più che bene.

Perchè però parlare di queste responsabilità ORA che il conflitto ucraino è in atto?

Perche in questi momenti siamo sottoposti alla pressione dell’urgenza (ovviamente, visto che i civili sotto i bombardamenti stanno morendo e hanno urgenza di  sopravvivere) ma in questo modo stiamo perpetrando sempre lo stesso schema in totale assenza di accountability (uso il termine inglese perche la sua traduzione in italiano “responsabilita” ha perso ogni valenza responsabilizzante, appunto) che ciclicamente ci rimette nella stessa situazione. Da più di 30 anni oramai siamo ripetutamente messi di fronte all’urgenza di un intervento militare causato dalla negligenza dei nostri leaders, che avrà effetti devastanti dei quali nessuno risponderà: Somalia, Iraq, Afghanistan, Libya, Syria etc etc… 

Rispondiamo alle contingenze apparecchiando perché fra 5 anni queste si ripresentino in un nuovo luogo di conflitto.

Il gas russo ci ha salvato dalla crisi libica, il gas libico ci salvò dalla crisi petrolifera irachena, e così via. Se pensate che abbiamo imparato la lezione vi basti sapere che ancora oggi l’Italia vende armi a Paesi come il Pakistan, le Filippine di Duterte, agli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, alla Turchia e all’Egitto, tutti sinceri regimi democratici che sicuramente non creeranno problemi in futuro. 

In secondo luogo, le opzioni a nostra disposizione sono si limitate, ma non esaurite.

La soluzione diplomatica è stata più volte sostenuta e portata avanti da numerosi attori esterni al conflitto, i famosi non allineati (gli attori che sono considerabili come parte del conflitto difficilmente possono intavolare negoziati di pace, storicamente ci si siede intorno al tavolo solo a vittoria militare ottenuta).

Abbiamo più volte rifiutato anche solo di considerare come plausibili queste opzioni, per orgoglio e per principio, nascondendoci dietro ad una supposta impraticabilità mai testata o dietro a ridicole richieste preliminari: pretendere la restituzione dei territori annessi come precondizione ai negoziati (quando dovrebbe essere perlomeno l’obiettivo finale di questi) e’ solo un pretesto per voler continuare la via bellica.

Questo avviene per un motivo palese: si vuole la vittoria militare e nient’altro, qualsiasi cosa essa significhi.

Abbiamo gia visto come questa popaganda abbia portato i suoi effetti con giovani commentatori che senza vergogna di fronte ad un pubblico nazionale si sono trovati a propugnare bombardamenti a tappeto delle principali citta russe, senza minimamente pensare alle conseguenze. Che ciò avvenga per indebolire l’asse dei BRICS che sta acquisendo sempre maggiore centralità finanziaria ed economica, o per un supposto senso di giustizia che richiede vendetta per l’invasione, resta che una vittoria militare ottenuta a chissà quale costo a spese delle vite dei cittadini ucraini, dei soldati semplici russi e delle tasche dei cittadini europei non sia in nessun modo auspicabile.

Non lo è per gli ucraini che continueranno a morire come mosche in attesa di una vittoria che potrebbe non arrivare mai.

Non lo e’ per il futuro di un continente europeo che sta vivendo uno spostamento radicale a destra verso insensati nazionalismi e revanscismi, sotto la guida di politici mediocri e irresponsabili che già ora stanno facendo pagare il prezzo della loro inettitudine ai propri cittadini tramite il costo della vita alle stelle e un’economia in crisi.

Non lo e’ per gli equilibri internazionali del futuro che vedranno un esacerbarsi delle relazioni tra l’occidente e il resto del mondo che e’ sempre meno incline a tollerare lo strapotere della NATO forte anche di un’economia mondiale che e’ sempre meno dipendente da noi e sempre più riluttante ad accettare in silenzio la nostra visione del mondo.

 

La soluzione nordirlandese

Abbiamo invece tutto l’interesse (noi europei, ma anche i cittadini ucraini) a spingere per una soluzione che preservi l’unita’ territoriale ucraina, ma possa anche garantire uno status terzo ed indipendente a questa martoriata nazione per poter cercare il proprio equilibrio e la propria pace interna, libera dalle ingerenze estere.

La nostra proposta, esplicitata con la Dichiarazione di Atene del Maggio 2022, consiste in:

  • Un immediato ritiro delle truppe russe da tutti i territori occupati dal febbraio 2022.
  • Un impegno da parte degli Stati Uniti affinché l’Ucraina non diventi membro della NATO.
  • Garanzie reciproche sulla sua indipendenza e neutralità.
  • L’area del Donbass, dove esiste una vera e propria questione di conflitto tra comunità – russofone e ucraine – dovrebbe essere trattata come l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno fatto con l’Irlanda del Nord, con un accordo del Venerdì Santo che permetta a entrambe le comunità di vivere in pace l’una con l’altra, con garanzie internazionali che quell’accordo del Venerdì Santo sarà attuato.

Ne ha bisogno l’Ucraina, ma ne abbiamo bisogno anche noi, di rompere questa narrazione cavalleresca di onta subita, di “sangue e terra”, di conflitto etnico, di contrapposizione dei blocchi, di sacra superiorità occidentale, almeno se vogliamo sperare in un futuro di pace e prosperita’ non solo verso il resto del mondo ma anche fra noi: aver spostato la guida morale dell’Unione Europea verso i paesi del blocco di Visegràd (piu’ dichiaratamente razzisti, misogini, conservatori e nazionalisti…. esattamente come Putin) e’ la principale garanzia per un futuro a tinte fosche per i rapporti tra le nazioni europee.

E per ultimo, ne abbiamo bisogno per instaurare un periodo di confronto interno e di accountability: per chiedere conto ai nostri governanti di tutti gli errori fatti che ci hanno portato fino a qui, per fare loro capire che non basta un messaggio whatsapp verso tutti i direttori delle testate per far dimenticare anni di scellerato schieramento politico e ciniche decisioni poco lungimiranti.

Ci meritiamo di meglio.

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