Di João Romeiro Hermeto
Lo scorso 21 giugno 2022, DiEM25 ha ospitato un evento a Milano, Italia, intitolato Lavoro Se…: Le nostre proposte per cambiare radicalmente il mondo del lavoro. Le due parole Lavoro e Se rivelano non solo che la questione del lavoro è centrale, ma anche che non bisogna pensare di offrire la propria forza lavoro in modo incondizionato alla classe capitalista.
Tra i relatori, erano presenti alcuni membri delle seguenti organizzazioni: Fridays for Future, Laudato Sì, Rete dei Numeri Pari, UDU e DiEM25.
L’evento ha presentato due linee di pensiero principali su cui possiamo riflettere e da cui possiamo imparare. Una forma contemporanea di promozione del cambiamento sociale e una classica.
La forma contemporanea sperava che la pandemia COVID19 permettesse di riflettere consapevolmente sui molti problemi esistenti nella società e che, grazie a questa presa di coscienza, si auspicava un cambiamento. In realtà, abbiamo assistito a un quadro molto diverso: l’aumento della precarietà dei molti, da un lato, e l’ulteriore arricchimento e l’ampliamento dei privilegi dei pochi, dall’altro. Come mai questo ha colto di sorpresa coloro che promuovono il cambiamento sociale nella forma contemporanea?
Inoltre, sono state avanzate alcune richieste, come la necessità di ridurre le ore di lavoro e contemporaneamente di aumentare i salari, o addirittura di garantirli attraverso un reddito di base incondizionato. Non solo, ma l’inversione di tendenza consiste nel restituire alle macchine il lavoro che esse hanno sottratto alla classe operaia. Quanto sono radicali queste rivendicazioni?
Un’aspetto molto positivo è che la forma contemporanea ha presentato in generale grandi diagnosi sullo sfruttamento sociale e sull’uso insostenibile delle risorse naturali e, di conseguenza, sulla necessità di porre fine a questi pericoli. Il tratto di questi problemi ritrae una visione piuttosto realistica della nostra realtà e del degrado sociale esistente in Europa. La mancanza di illusioni in queste diagnosi è molto importante se si vuole cercare di creare soluzioni fattibili per la trasformazione sociale. Le soluzioni, inoltre, partono da un altro aspetto cruciale dell’evento: le persone erano fisicamente presenti, si scambiavano pensieri e critiche, il che significa che stanno organizzando e discutendo le idee. È ora di abbandonare la difesa e passare all’attacco.
Tuttavia, mentre la diagnosi sembra corretta, la forma contemporanea sembra cadere in una trappola, quando si tratta di decidere come combattere le minacce del capitalismo. Il motivo per cui per alcuni è stata una sorpresa che il post-COVID19 non abbia portato cambiamenti positivi è lo stesso motivo per cui ora misure blandamente riformiste potrebbero apparire rivoluzionarie. Il passato viene proiettato nel futuro mentre l’essenza delle relazioni sociali capitaliste non viene pienamente realizzata.
Quando viene introdotto un trattore che sostituisce molti lavoratori manuali – o quando si verifica un qualsiasi grande sviluppo nei rapporti di produzione che promuova un risultato simile -, la produzione della vita diventa più sociale. Il lavoro diventa più specializzato. Così, il lavoro individuale isolato perde significato sociale. Il lavoro individuale diventa più legato alla produzione sociale, perché il suo ruolo è solo una parte piccola e isolata di una totalità. Inoltre, la scienza, che per definizione è uno sviluppo sociale, integra più profondamente la produzione, rendendo l’intero processo produttivo ancora più sociale.
Ciò significa che il lavoro come conosciuto in precedenza scompare e le persone possono potenzialmente lavorare molto meno con un rendimento molto maggiore. Nella misura in cui il valore di scambio diminuisce, diminuisce anche l’importanza del denaro. Con l’abbondanza i mercati diventano obsoleti perché entrano in gioco solo quando c’è scarsità. Il conflitto nasce però dal fatto che la storia ha concesso a una piccola classe il privilegio di controllare l’intero processo di produzione (e distribuzione). Se da un lato la proprietà privata dei mezzi di produzione ha contribuito a riunire il lavoro durante il primo capitalismo, dall’altro il suo sviluppo ha favorito la socializzazione della produzione, rendendo la stessa proprietà privata dei mezzi di produzione un ostacolo all’ulteriore sviluppo della produzione e un problema sociale.
Quindi, la forma classica di promuovere il cambiamento sociale comprende che né la macchina né la riduzione del lavoro rappresentano il problema, bensì le relazioni sociali di proprietà che consentono la proprietà privata dei mezzi di produzione.
Il desiderio di tornare al passato e l’introduzione di misure palliative non soddisfano le condizioni necessarie alla classe operaia per affrontare le continue sfide poste dalla lotta di classe capitalista. Al contrario, la romanticizzazione del passato e le misure analgesiche danno l’impressione di una capitolazione. Se la classe operaia vuole avere successo, non può permettersi di feticizzare il lavoro; non può nemmeno idealizzare lo Stato, che per definizione è uno “strumento” controllato dall’élite; inoltre, deve comprendere il conflitto di classe tra la classe capitalista e coloro che non possiedono i mezzi di produzione, la cosiddetta classe operaia.
In questo senso, la nozione di fabbriche senza proprietari, o di cooperative di lavoro, può aiutare a indicare la direzione per nuovi rapporti sociali di proprietà. Tuttavia, non bisogna dimenticare il grande potere che i monopoli capitalisti ancora detengono. Pertanto, la lotta non può essere semplic emente economica, dove le aziende isolate possono abbandonare la struttura di sfruttamento e diventare democrazie economiche (cooperative di lavoro), la fase principale della lotta per il cambiamento sociale si trova a livello politico. Solo quando la classe operaia lotterà come classe, invece che come unità isolate e separate, potrà affrontare le sfide poste dalla classe capitalista.
La lotta contemporanea viene schiacciata, quindi dobbiamo imparare dalla forma classica di lotta sociale. Ma a differenza della forma classica, non possiamo permetterci di creare divisioni tra i nostri gruppi, la lotta non può essere monopolizzata da un’organizzazione a scapito delle altre. Le lotte anticapitaliste devono unirsi e definire un programma comune da portare avanti come fronte unito tra diversi movimenti di diversi paesi, quindi devono avere anche un carattere transnazionale per combattere l’élite capitalista transnazionale.
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