È tempo che le nazioni si uniscano attorno a un Green New Deal internazionale

di Yanis Varoufakis e David Adler
 
Diversi paesi hanno proposto le proprie versioni di Green New Deal verde, ma i cambiamenti climatici non conoscono frontiere. Abbiamo bisogno di una risposta globale
 
In tempi di crisi e catastrofi, i bambini sono spesso costretti  a crescere rapidamente.  Stiamo ora assistendo a questa prematura chiamata all’azione su scala planetaria. Mentre gli adulti al governo accelerano il consumo di combustibili fossili, i figli stanno conducendo la campagna contro l’incombente estinzione della nostra specie. La nostra sopravvivenza dipende ora dalle prospettive di un movimento globale che segua il loro esempio e pretenda un Green New Deal Internazionale.
Diversi paesi hanno proposto le loro versioni di Green New Deal. Qui in Europa, DiEM25 e la nostra coalizione European Spring stanno conducendo una campagna sotto la bandiera di un dettagliato programma di Green New Deal. Nel Regno Unito, un’innovativa campagna sta promuovendo legislazioni simili attraverso parlamentari quali Caroline Lucas e Clive Lewis. E negli Stati Uniti, gli ostinati attivisti del Sunrise Movement collaborano con rappresentanti come Alexandria Ocasio-Cortez per portare la loro proposta in prima linea nell’agenda politica.
Ma queste campagne sono rimaste in gran parte isolate. I loro consulenti possono scambiarsi note e idee, ma non è emersa alcuna strategia per coordinare queste campagne in una quadro più ampio e globale.
Sfortunatamente, il cambiamento climatico non conosce confini. Per quanto gli Stati Uniti possano essere il secondo più grande inquinatore al mondo, rappresentano meno del 15% delle emissioni globali di gas serra. Dare l’esempio non è sufficiente.
Invece, abbiamo bisogno di un Green New Deal internazionale: un piano pragmatico per raccogliere ogni anno 8 mila miliardi di dollari (5% del PIL globale), coordinare il suo investimento nella transizione verso le energie rinnovabili e impegnarsi a fornire protezione climatica sulla base delle esigenze dei paesi, piuttosto che sui loro mezzi.
Chiamiamola Organizzazione per la Cooperazione Ambientale di Emergenza – con un acronimo che sarebbe simile all’Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea di 75 anni fa. Mentre molti attivisti statunitensi trovano ispirazione in una “mobilitazione in stile seconda guerra mondiale”, l’International Green New Deal prende piuttosto come modello il piano Marshall che la seguì. Con l’assistenza finanziaria del governo degli Stati Uniti, 16 paesi costituirono l’Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea (OEEC), dedicata alla ricostruzione delle infrastrutture di un continente devastato e al coordinamento delle sue forniture di energia.
Ma se l’OEEC originale radicava un capitalismo estrattivo al centro dell’Europa – proteggendo il cartello dell’acciaio e del carbone – la nuova organizzazione per un Green New Deal Internazionale può rafforzare le comunità di tutto il mondo in un unico progetto di trasformazione.
La portata transnazionale di questa mobilitazione è cruciale per tre ragioni principali.
La prima è la produzione. Studi recenti dimostrano che, se i paesi cooperassero, tutti i continenti avrebbero le risorse eoliche, solari e idroelettriche di cui hanno bisogno in un mondo a emissioni zero. I paesi del nord e le regioni montane hanno un migliore accesso all’energia eolica, mentre le terre del sud sono più adatte allo sfruttamento del sole. Un Green New Deal Internazionale potrebbe sfruttare queste differenze e garantire a tutti l’accesso all’energia rinnovabile per tutto l’anno.
La seconda ragione è l’innovazione. Trattenere i combustibili fossili nel terreno non basta: affrontare la crisi climatica richiederà molto di più. Avremo inoltre bisogno di grandi scoperte scientifiche per sviluppare fonti di energia rinnovabili, per adattare le infrastrutture già esistenti, ripulire gli oceani e decarbonizzare l’atmosfera. Nessun paese può finanziare attività di ricerca e sviluppo indispensabili per affrontare queste sfide lavorando da solo. La OCAE sarebbe in grado di raggruppare i cervelli della comunità scientifica, creando così un “Progetto Manhattan” ecologico.
Il terzo motivo riguarda il risarcimento. Paesi quali gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno saccheggiato risorse naturali e inquinato il nostro pianeta per secoli. I paesi meno sviluppati sono stati derubati per ben due volte: la prima delle loro fonti di guadagno, mentre la seconda del loro diritto ad una vita sostenibile (e, nel caso di numerosi piccoli stati insulari in via di sviluppo, anche del loro stesso diritto di esistere). Un Green New Deal Internazionale consentirebbe la ridistribuzione delle risorse al fine di riabilitare le aree sovrasfruttate, combattere gli effetti dell’innalzamento del livello del mare, e garantirebbe inoltre un tenore di vita dignitoso per tutti i rifugiati climatici.
Non saranno le conferenze ONU sul clima a salvarci dall’estinzione, il fallimento dell’Accordo di Parigi lo ha dimostrato a sufficienza. Questi accordi ci rinchiudono in dilemmi del prigioniero, dove ciascun paese è incentivato ad abbandonare gli impegni presi contro i cambiamenti climatici, sebbene la loro cooperazione porterebbe ad un bene collettivo maggiore. Infatti, finché la collaborazione in campo climatico sarà costruita attorno al concetto di sacrificio, sarà vulnerabile a “uomini forti”, uomini come Donald Trump, che promettono di calpestare norme internazionali all’insegna di interessi nazionali.
Ciononostante, il Green New Deal Internazionale costituisce una svolta, poiché piuttosto che implorare e chiedere moderazione, delinea una visione a somma positiva degli investimenti internazionali nella quale i vantaggi portati dalla collaborazione sono maggiori di quelli prodotti dall’individualismo.
È questa strategia la chiave del successo del New Deal originale di Franklin D. Roosevelt. Il suo piano era quello di rivolgersi a persone che avevano ormai abbandonato ogni speranza, e di suscitare in loro l’idea che c’è un’alternativa. Che ci sono modi per impiegare risorse inutilizzate nel settore pubblico. Il piano offriva un senso ai diseredati e opportunità a persone dallo spirito imprenditoriale.
Lo stesso vale anche per il Green New Deal Internazionale, il quale mobiliterebbe le finanze pubbliche ad attrarre investimenti privati che assieme finanzierebbero la transizione di 8 mila miliardi di dollari. Come nel New Deal originale, i finanziamenti pubblici implicheranno un mix di tasse e obbligazioni. Per quanto riguarda le tasse, possiamo introdurre un’aliquota minima globale per l’imposta sul reddito delle imprese, la quale verrà poi ridistribuita sulla base delle loro vendite. Per quanto riguarda le obbligazioni, le banche pubbliche per gli investimenti – incluse la Banca europea degli investimenti, la Banca Mondiale e la KfW, la banca statale tedesca di sviluppo- potranno coordinare la questione delle obbligazioni verdi, che le più importanti banche centrali potranno convenire di sostenere collettivamente nei mercati secondari.
Paesi con ingenti surplus commerciali d’un tratto realizzeranno che riescono a investire meglio il capitale in eccesso se esiste una coordinazione collettiva degli investimenti verdi in paesi in deficit sotto l’egida di un piano internazionale. Infine, la dinamica a somma positiva prevarrà.
La posta in gioco del Green New Deal Internazionale non è semplicemente una questione ambientale. Unendo i paesi nel progetto di una trasformazione economica dal basso verso l’alto – e obbligando le multinazionali a finanziare la loro parte- fermerà inoltre la marea di intolleranza e xenofobia che ha travolto il pianeta.
Oggigiorno, i paesi capitalisti “avanzati” stanno letteralmente cadendo a pezzi. Negli Stati Uniti gli investimenti pubblici netti sono scesi sotto lo 0,5% del PIL. In tutta l’eurozona da quasi un decennio gli investimenti pubblici netti rimangono al di sotto dello zero. Non c’è quindi da stupirsi se i mostri della politica sono nuovamente risorti: come negli anni ‘30, le vigne del furore stanno maturando e “s’avvicina l’epoca della vendemmia”.
Alcuni esperti hanno suggerito di far diventare la Cina il nuovo spauracchio in modo da far resuscitare il progetto democratico liberale. Il vero spauracchio, però, l’abbiamo creato noi, ed è una crisi climatica nata da decenni di mancato intervento e da una mancanza di investimenti. Se vogliamo affrontare la vera minaccia esistenziale che oggi ci troviamo di fronte, dobbiamo porre fine alle politiche economiche che ci hanno portati sull’orlo del collasso. Austerità vuol dire estinzione.
La promessa di un Green New Deal Internazionale è di evitare le insidie della politica della guerra fredda e unire l’umanità nell’unico progetto in grado di preservare un pianeta abitabile. Per farlo, tuttavia, abbiamo bisogno di un potente movimento progressista internazionale che esiga che i nostri leader agiscano anche al di là dei propri confini. Iniziamo a costruirlo; dopotutto, i bambini ci osservano.
Traduzione italiana a cura di Michele Fiorillo e Serena Protic dall’originale inglese
https://www.theguardian.com/commentisfree/2019/apr/23/international-green-new-deal-climate-change-global-response

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