L’emergenza Covid-19 ha acuito un momento che già era di grande sofferenza sociale ed economica. Il lavoro a tutti i livelli si stava trasformando, i luoghi di lavoro anche. Il processo produttivo di fatto già stava emarginando la forza lavoro per come la intendevamo.
In tutto questo si è reso necessario il passaggio allo smart-working per alcune categorie di lavoratori, una trasformazione del lavoro positiva se non va a sottrarre il tempo che uno “smart”-worker solitamente dedica ai propri interessi, alla famiglia, e a se stesso.
Lo smart working rimane comunque precluso a circa il 70% dei lavoratori italiani, lavoratori “essenziali” che in tempo di pandemia abbiamo conosciuto da vicino e che hanno garantito il funzionamento della macchina vitale della nostra società: operatori sociosanitari, lavoratrici e lavoratori di logistica, agroalimentare, trasporti, farmaceutica e di altri ambiti nevralgici. Settori occupazionali questi in cui già da tempo vige il far west in materia di retribuzioni e di orari di lavoro.
Per decenni, l’idea dominante è stata quella dell’aumento di produttività a tutti i costi.
Bisognava lavorare di più per produrre di più e la riduzione dell’orario di lavoro è sempre stata vista come qualcosa che avrebbe ridotto la produttività e compromesso la crescita. Quello della crescita infinita è un dogma a cui dobbiamo porre fine, è insensato perseguire in un pianeta finito una crescita infinita, ed è per questo che dobbiamo parlare di futuro sostenibile e non di sviluppo sostenibile, concetto, quest’ultimo, che non implica la messa in discussione del sistema economico esistente.
Ora più che mai, in un contesto dominato dalla velocità, dalla competitività, dove chi lavora non ha mai abbastanza tempo da dedicare a se stesso, dobbiamo riaprire un dibattito epocale. È giunto il momento di riprendere con forza la proposta per la riduzione dell’orario di lavoro a tutti i livelli.
Una settimana “corta” di 32 ore lavorative a parità di salario è puro buon senso. Il nostro tempo vale!
La riduzione dell’orario di lavoro è tra l’altro un passaggio cruciale per colmare il vuoto che in alcuni mercati del lavoro verrà creato dalla riduzione della produzione industriale prevista dal Green New Deal per l’Europa. Un nuovo patto tra lavoratori e aziende per migliorare davvero la qualità del lavoro e renderlo protagonista della “giusta transizione” verso un’economia post carbonio. Transizione non più rinviabile se vogliamo salvare il pianeta. Lavoro equo, verde e per tutti!
Ormai sono passati 50 anni da quando nel 1969/1970 vennero conquistate le 40 ore settimanali, che la contrattazione collettiva generalizzò nel 1973. Lo scenario economico sociale è maturo per una ulteriore conquista: la riduzione del lavoro a parità di salario, in sintonia con il lavoro che cambia e per ridare slancio ai nostri salari tra i più bassi fra quelli dei Paesi OCSE. Salari da settimana cortissima!
Mentre in Italia si continua a perseguire indiscriminatamente l’aumento dei consumi e della produttività e la svalutazione della forza lavoro come uniche panacee in grado di contrastare la strutturale crisi economico/lavorativa, altrove si agisce in modo opposto. In Spagna, per esempio, il governo ha lanciato un progetto pilota per la riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore a parità di salario per i dipendenti delle 200 aziende aderenti.
DiEM25 deve rilanciare a tutti i livelli la battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, una rivendicazione non più rinviabile. Lo dobbiamo fare consapevoli però che non sono l’aumento della produttività e dei consumi le parole d’ordine che ci devono guidare in questa battaglia, parole che invece non dovrebbero più appartenere al lessico di una forza di sinistra popolare e moderna.
Redistribuzione del reddito e del lavoro, contrasto a disoccupazione e sottoccupazione, liberazione di tempo per le lavoratrici e per i lavoratori, miglioramento della qualità del lavoro. Queste parole nobili sono i vantaggi che la riduzione dell’orario di lavoro porterà con sé.
Non dobbiamo accontentarci, vogliamo cambiare un sistema economico basato sul consumo di ciò che non sempre è necessario. Vogliamo discutere di cosa è bene continuare a produrre e cosa no, per costruire un’economia sostenibile che rispetti le persone, il loro tempo e i loro luoghi.
Carpe diem!
Stefano Spivach, artigiano, e componente del coordinamento nazionale dell’Ala Elettorale italiana di DiEM25.
Fonte fotografia: Flickr
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