Ecco un album di testimonianze dell’incontro che si è tenuto a Roma, il 26 gennaio scorso, alla Città dell’Altra Economia.
Lorenzo Marsili – di rientro da Berlino, dove era stato appena varato il programma transnazionale di European Spring, che DiEM25 presenterà alle prossime elezioni europee – ha aperto gli interventi. Ha trasmesso gli elementi qualificanti del Green new deal che – con la sua ampia portata finanziaria – sarebbe capace di invertire la rotta rispetto all’inerzia politica attuale, sia sul versante della transizione ecologica, sia sul rilancio del lavoro e dell’occupazione.
Ha trasmesso con incisività come sia possibile passare dal business as usual di un’Unione Europea, ingessata dalla competizione intergovernativa, a un nuovo corso. Il New Deal per l’Europa, non contiene proclami o vacue aspirazioni, ma soluzioni concrete alla crisi politica, sociale, economica ed ecologica del continente. Il New Deal per l’Europa consentirebbe di realizzare una massiccia politica di investimenti verdi, attraverso progetti diffusi e capillari di rigenerazione urbana, di tutela del territorio, di rinascita delle comunità locali e di prevenzione rispetto a fenomeni sismici e catastrofali, senza bisogno di uscire dall’attuale quadro dei Trattati europei.
C’è stata una forte condivisione, da parte di tutti i relatori, sull’esigenza di affrontare a livello continentale la conciliazione necessaria tra giustizia sociale e giustizia ambientale. Sia Alessandra De Santis di A SUD, sia Annalisa Potetti del Centro Studi di Possibile hanno sottolineato come, sotto l’impulso della regolamentazione europea, la tutela a favore dell’ambiente sia aumentata nel corso degli ultimi anni. Ma entrambe hanno sostenuto che il tempo è poco, “la casa brucia” e lo sforzo va moltiplicato: nella completa riconversione energetica, nel sostegno alle sole fonti rinnovabili, nell’integrata gestione dei rifiuti, nella promozione della diffusione dell’economia circolare e, più in generale, nell’affermazione di modelli di sviluppo rispettosi dell’ambiente e dell’uomo. Tutti questi interventi non solo “curerebbero” l’ambiente, ma generebbero un impatto positivo, sia sotto il profilo occupazionale, sia dell’etica del lavoro.
L’intervento critico del Professor Sergio Cesaratto – unico tra i relatori ad evocare un ritorno alla sovranità nazionale nelle scelte di politica economica, come forma di protezione dalle politiche deflazionistiche di un’Europa a trazione tedesca – è stato vivacemente contestato dal pubblico presente, da Lorenzo Marsili, ma anche dall’esperienza diretta di Fabrizio Potetti del Coordinamento Regionale della FIOM. Lui ha sottolineato come il sovranismo in economia cozzi con la realtà produttiva: le relazioni sindacali hanno ormai assunto una dimensione europea, poiché sempre più spesso il sindacato si trova a dover negoziare le proprie rivendicazioni con controparti datoriali che hanno sede all’estero. E le piattaforme fondamentali – ha aggiunto Potetti – si fanno avanzare soprattutto attraverso strette relazioni con omologhi sindacati in altri Paesi comunitari. Il rappresentante sindacale ha poi riconosciuto come il caso dell’ILVA abbia segnato un punto di svolta per il sindacato: ha imposto ai rappresentanti dei lavoratori un profondo ripensamento che impone di superare la nemesi tra obiettivi occupazionali e scelte di tutela dell’ambiente e della salute pubblica.
L’intenso pomeriggio si è concluso con la proiezione di “In the same boat” di Rudy Gnutti. Con un suggestivo linguaggio, alto e iconico, il docu-film ha sancito l’inefficacia di risposte limitate all’ambito nazionale, rispetto a problemi strutturali che investono il mondo intero. Le voci di grandi pensatori, del calibro di Atkinson, Bauman o Mujica, hanno ammonito che il sovvertimento generato da questioni planetarie quali la globalizzazione, la rivoluzione tecnologica e digitale, la mancanza di lavoro o l’attuale iniqua distribuzione del reddito, non consentono risposte semplici, limitate a un solo Paese. C’è bisogno di un cambio di paradigma a livello internazionale. C’è bisogno di ridare speranza e ambizioni collettive alla possibilità di cambiare il destino, per perseguire un benessere diffuso e per salvare il pianeta dall’autodistruzione. C’è bisogno di immaginare un nuovo corso dell’intervento pubblico, rivisitando quello proposto negli anni trenta da Keynes.
Antonella Trocino –
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